Il vino russo fa parlare di sé, non solo per la strana querelle nazionalista relativa allo Champagne, ma anche per quel 25% di prodotto nel limbo della poca chiarezza. L’indagine effettuata da Wine Business International – che si è rivelata alquanto complessa per i dati frammentari pubblicati in Russia – e volta a capire il divario tra produzione, importazione e volumi dichiarati, è il primo vero tentativo di analisi.

Come riporta anche Meininger, nei piani del governo c’era già nel 2017 – ribadita anche nel 2018 dal Congresso dei viticoltori russi – la volontà di raddoppiare l’attuale produzione, aumentando la superficie vitata del paese fino a 169.300 ettari, così da ottenere 1,3 milioni di tonnellate di uve da vino entro il 2022, il doppio rispetto a quella effettiva di 665.000 tonnellate nel 2017. La crescita dei consumi di vino è costante, guidata soprattutto dai Millennials delle due grandi città, Mosca e San Pietroburgo, e vede secondo i dati di Wine Intelligence il consumo pro capite raddoppiare e il valore crescere in modo uniforme. Gli obiettivi al contrario rimangono ben lontani dall’essere raggiunti visto che la vendemmia 2021 ha portato nelle cantine russe solo 680.000 tonnellate per 440 milioni di litri prodotti. Anche le importazioni, dopo il calo del 2020, sono tornate a salire.

L’annessione della Crimea nel 2014 e di tutte le sue terre vitate, nonché la produzione nelle regioni meridionali di Krasnodar Krai e Rostov Oblast ha certamente accresciuto la produzione interna senza però risolvere il problema nel suo complesso. La conformazione produttiva della viticoltura russa vede ancora una forte dipendenza dalle importazioni di materie prime, materiali vinicoli e prodotti finiti da paesi esteri, soprattutto europei. Il volume degli scambi commerciali si lega a due principali fattori: alle carenze oggettive della viticoltura nazionale che non riesce a soddisfare la richiesta di materia prima necessaria alla produzione vinicola del paese ed alla poca rilevanza del vino di produzione nazionale nell’immaginario della stessa popolazione. I vini d’importazione europea e del Nuovo Mondo esercitano di fatto un fascino decretando maggiore, influenzando le scelte dei consumatori e la Federazione Russa a maggiore importatore al mondo.

“Il mercato del vino in Russia si suddivide grosso modo in tre segmenti, quello del vino russo prodotto da uve russe, del vino d’importazione imbottigliato in Russia, e del vino prodotto con materie prime importate, immagazzinato ed etichettato con un marchio russo”, spiega a Rbth Dmitrij Kovalev, coordinatore del progetto “il nostro vino”. Le aziende coinvolte nel sistema produttivo del territorio superano le 500 unità; di queste circa 150 sono di grandi dimensioni con a disposizione almeno 150 ettari vitati.

La Federazione Russa ha, tra uva coltivata e quella importata, quantità sufficienti per produrre solo tre quarti del vino e del brandy etichettati come “russi”. Inoltre la recente legislazione ha inasprito le regole per l’ingresso di sfuso che fino al giugno 2020 poteva essere etichettato e venduto come “russo”, all’unica condizione che fosse imbottigliato in Russia. Da quel momento tutti i vini prodotti con mosti sfusi o concentrati importati dovevano essere etichettati come “bevande a base di vino”. Parliamo naturalmente di un paese dove, anche nelle migliori annate, si riesce a portare in cantina la metà del proprio fabbisogno; mentre la produzione di vino e di brandy invece di crollare dopo il 2020 è solo leggermente diminuita.

Nessuno in Russia, compreso il principale ente di regolamentazione dell’alcol, sa da dove provenga questo 25% di prodotto. Per capire bene la situazione attuale si deve tornare al 2019, quando lo sfuso importato poteva essere utilizzato per produrre vini e grappe. Secondo il Ministero dell’Agricoltura, la vendemmia totale quell’anno fu di 678.000 tonnellate. Supponendo che ogni singolo grappolo d’uva sia stato destinato per fare esclusivamente vino, e che con un’estrazione estrema si arrivi a ottenere il 70% di mosto, sarebbe stato possibile ottenere 4,831 milioni di ettolitri di mosto. I dati ufficiali per quell’anno mostrano che il Paese ha importato 1,165 milioni di ettolitri di vino sfuso; la cifra dell’OIV, tuttavia, è stata di 3,5 milioni di hl.

Nel 2019 i produttori di vino russi hanno prodotto 3.339 milioni di ettolitri di vino fermo e 1.344 milioni di ettolitri di spumante, il che sembrerebbe corrispondere ai calcoli effettuati. Hanno anche prodotto 2.947 milioni di ettolitri di bevande a base vino, che per legge devono contenerne almeno il 50% di vino e per il quale hanno richiesto altri 1.473 milioni di ettolitri sfusi. (I dati dell’OIV per quell’anno registrano una produzione di 4,4 milioni di ettolitri senza tenere conto delle bevande a base di vino).

Un semplice calcolo dice che, da 5.996 milioni di ettolitri di vino, comprese le importazioni di sfuso, i produttori di vino russi sono riusciti a produrre 6.157 milioni di ettolitri di vino. Un divario quasi insignificante se l’industria russa non avesse dovuto produrre volumi anche di un’altra bevanda a base di uva: il cosiddetto “cognac” russo – la nuova legge lo chiama “brandy” – un prodotto popolare ottenuto spesso dall’imbottigliamento di distillati importati e un invecchiamento di almeno tre anni.

Nel 2019 la Federazione Russa ha prodotto 936.156 hl di brandy, mentre il Servizio doganale federale rende noto che 337.518 hl di distillato d’uva sono stati importati; 337.518 hl di distillato che si trasforma in 582.216 hl di brandy. Dunque sembrerebbe che il 62% del brandy russo nel 2019 sia stato prodotto da distillati importati, diluito a forza di consumo e imbottigliato sul territorio russo. La produzione di un litro di brandy richiede 8 litri di vino; per produrre la restante quantità di brandy i distillatori russi avrebbero necessitato di altri 3.016 milioni di ettolitri di vino. Sommando tutte le possibili provenienze, per vino e brandy mancano all’appello 3,2 milioni di ettolitri di vino. Stessa cosa l’anno successivo (2020).

I dati ufficiali dicono che non può essere né uva del territorio, né vino sfuso, né brandy importato, ma che esistano altre forme di contraffazione come le uve importate. Una società che produce vino “Made in Russia” ha dichiarato di avere importato dall’Azerbaigian, nella vendemmia 2021, 3.160 tonnellate di uve Cabernet Sauvignon, Saperavi, Montepulciano.

Sebbene il governo russo abbia recentemente approvato un serie di leggi per vietare ogni forma di falsificazione del vino, c’è ancora molto da fare prima che l’industria vinicola russa possa rivendicare la legittimità che cerca.