La quarta puntata della nostra inchiesta su punti di forza e debolezza dellexport enologico italiano prende in esame un aspetto, a nostro parere, strategico forse pi di molti altri per lo sviluppo delle nostre vendite sui mercati internazionali: lautorevolezza, la credibilit, lappeal delle nostre denominazione di origine.

A sentire la gran parte dei nostri intervistati (oltre il 60%) la forza delle nostre denominazioni in pericoloso declino e spesso la “garanzia”, la “credibilit” dei territori di produzione nelle mani pi dei brand aziendali rispetto a doc e docg.

Purtroppo si tratta di una valutazione che in preoccupante coerenza con quanto emerso recentemente in una ricerca di Wine Monitor Nomisma che coinvolgeva un panel autorevole di buyer, importatori ed opinion leader di 5 mercati strategici per il vino italiano (Usa, Germania, Giappone, Cina e Russia). La ricerca voleva evidenziare quali erano i criteri di scelta dei vini italiani nelle diverse tipologie e fasce di prezzo. La maggioranza degli intervistati ha dichiarato che per i vini sopra i 5 euro a bottiglia (prezzo listino franco cantina) il principale elemento di scelta il brand aziendale che supera di gran lunga, come il grafico evidenzia, il valore della denominazione. (Fonte: Indagine Wine Monitor Nomisma www.winemonitor.com)

La concomitanza di giudizio non pu certo rallegrare perch la perdita di “peso” delle nostre denominazioni deve apparire come un forte campanello dallarme. Perch se positiva la crescita della forza imprenditoriale italiana, lemergere di brand apripista che danno credibilit a territori interi altrettanto vero che non si pu pensare di “addossare” a i singoli produttori la responsabilit di comunicare, posizionare, dare insomma una corretta visibilit e reputazione alle nostre denominazioni di origine.

Non possiamo purtroppo essere troppo meravigliati di tali valutazioni in quanto notorio da tempo che leccessiva proliferazione di denominazioni (talvolta nate solo per ragioni “politiche”) e la scarsa capacit di fare sistema allinterno dei territori avrebbe portato inevitabilmente a tali conseguenze. Come pure ci eravamo illusi che la credibilit delle nostre denominazioni, lesaltazione della loro identit sarebbe derivata dai disciplinari di produzione e dalla loro applicazione. Un errore grave. Sarebbe come dire che la nostra personalit, identit autentica emergesse dalla carta didentit. Come se fosse una “legge” a decretare la nostra reputazione. Pensando cos abbiamo non solo generato solo confusione ma abbiamo anche perso tempo nel comunicare norme e non sostanza, immagine, realt.

Ma tutto non perso, ovviamente. Abbiamo territori che hanno ancora una forza inespressa potente, ma si deve avere il coraggio di riscrivere sia il modello di organizzazione delle nostre denominazione e, soprattutto le modalit per comunicarle.

E speriamo che questa volta non si pensi che baster cambiare, per legge, la pelle ai Consorzi di tutela, per riuscirci.