Michele Shah (www.micheleshah.com;www.micheleshah.it) è probabilmente oggi la più autorevole consulente all’export. Di origine inglese ma residente in Toscana ormai da numerosi anni, Michele si è accreditata tra le maggiori esperte dei mercati internazionali e, in particolare, ha sviluppato una lunga esperienza nell’organizzazione di incontri b to b tra le imprese del vino italiano è i maggiori importatori e buyer di tutto il mondo. Conosco Michele da molti anni e la ritengo un osservatorio straordinario non solo per capire come si stanno evolvendo i mercati internazionali nei confronti del vino italiano ma anche come eccellente consigliere per le aziende del vino italiane riguardo a come esse si devono muovere per essere efficaci nei rapporti con gli importatori, con i giornalisti del vino di tutto il mondo.

Alla luce della tua lunga esperienza nell’ambito della promozione internazionale dei vini italiani che idea ti sei fatta di come i nostri prodotti enologici vengono percepiti sui principali mercati mondiali?

Vi è una percezione decisamente positiva sia per quanto riguarda il livello qualitativo sia per la straordinaria diversità garantita in particolare dai vini ottenuti da varietà autoctone. Più il panorama della viticoltura Italiana all’estero viene compreso (e questo è possibile solo attraverso branding dei territori e tipologie attraverso – eventi del vino all’estero ed educational ed incoming in Italia) più vengono richiesti ed apprezzati i vini autoctoni.  E l’Italia ha questa ricca carta da giocarsi con le sue 20 regioni di produzione e i vitigni autoctoni.  Forse il concetto delle Docg Doc e Igt sono riferimenti che possono creare confusione, e che sono per la più parte, specialmente con i consumatori, dettagli che vengono quasi sempre ignorati all’estero.  Quello che è importante per l’educazione del consumatore è identificare che il Chianti Classico viene dalla Toscana, l’Amarone dal Veneto, il Nero d’Avola dalla Sicilia, ecc. Il brand Italia, inoltre, ha un posto speciale tra i consumatori, perch è associato al turismo, alle vacanze, alla gastronomia,  alla cultura, e il mondo vitivinicolo Italiano dovrebbe sfruttare meglio questa passione per l’Italia e l’Italian Life Style.

In questi anni hai accompagnato moltissime aziende in workshop internazionali, quali sono a tuo parere i principali “errori” che fanno i nostri produttori nelle loro presentazioni in giro per il mondo?

Prima di tutto spesso i produttori non conoscono a sufficienza il mercato dove presentano i loro vini; non sono preparati a confrontarsi con la cultura, i costumi e le regole dei diversi mercati.  Vedo frequentemente che i produttori hanno troppa fretta e ‘bombardano’ l’interlocutore, importatore o buyer con tutte le info sulla loro azienda, il territorio, i vigneti, la cantina, e vini senza dare ascolto a quello che vuole o quello che sta cercando l’importatore.  Farebbero meglio a fare un passo indietro e ascoltare prima l’interesse e le richieste dell’importatore o di chi si trova davanti a loro anche per poi giocarsi meglio le proprie carte.  

Altro difficile problema è quando c’è troppa discrepanza nei prezzi per la stessa tipologia di vino, questo specialmente quando si fa un evento di un’unica regione.  Il tema dei prezzi è sicuramente quello più complesso. Io consiglio sempre che bisogna presentarsi con un vino – un’etichetta che mostra sempre un ottimo rapporto di qualità prezzo per entrare nel mercato e farsi conoscere.  E molto difficile per un vino/tipologia poco conosciuta presentarsi con un prezzo elevato su un mercato internazionale dove non ha riconoscibilità.  Creare un’immagine, una reputazione ha un prezzo sia in termini di pazienza che di investimenti in marketing.  Poi c’è la competizione spietata del cosiddetto nuovo mondo dove spesso si hanno costi di produzione meno elevati e conseguenti prezzi molto competitivi; ma questo al consumatore spesso non importa,  quello che cerca è un vino gradevole a un prezzo possibile e andrà a spendere per prima per vini che già conosce o di cui ha sentito parlare.  Bisogna saper comunicare, essere dinamici, saper vendere e sapere anche almeno l’inglese per potersi esprimere indipendentemente dall’usare interpreti – si sa che molte cose simpatiche e importanti sono ‘lost in translation’!!!! Come ultimo punto vorrei sottolineare che spesso il produttore Italiano non investe abbastanza nella promozione.  Investono più volentieri nei vigneti e nella cantina o nei trattori, senza rendersi conto che se non impostano bene la promozione, o se non ne dedicano abbastanza fondi possono sì migliorare la produzione con cantine nuove e ri-impianti di vigneto o altro, ma se non c’è una promozione costante non si vende!  

Quali sono a tuo parere i mercati internazionali oggi più pronti per i vini italiani (tra quelli tradizionali e quelli emergenti?)

Come paesi emergenti, vedo la Polonia, Hong Kong e alcuni degli altri Paesi asiatici (dove conta molto il fattore  “brands” conosciuti con punteggi elevati). A dire il vero allo stato attuale vedo pochi mercati emergenti con un vero buon potenziale. Russia Cina, Brasile e India sono mercati emergenti che potrebbero avere un ottimo potenziale, ma hanno anche molte problematiche legate alla legislazione sulle importazioni di alcolici; però se uno ha volumi e prezzi competitivi o brands importanti sono mercati che possono dare delle soddisfazioni.  Invece credo molto nel rafforzare la presenza nei mercati tradizionali come Germania, Svizzera, Usa, Canada, Regno Unito e i Paesi nordici (Norvegia, Svezia, Danimarca e Finlandia) ai quali piace molto il vino Italiano e nonostante il Monopolio comprano numerose etichette italiane.

Quali sono le denominazioni italiane che a tuo parere avrebbero notevoli potenzialità di ulteriore sviluppo sui mercati internazionali?

Dipende dai mercati, ma se guardiamo la ristorazione – le carte dei vini – ci dev’essere soprattutto Toscana e Piemonte seguite dal Veneto.  Oggi vedo ottimo potenziale per la Sicilia, la Campania, la Sardegna e anche per i vini bianchi del Friuli.