Denis Pantini è responsabile dell’Area Agricoltura e Industria alimentare di Nomisma, una delle principali società operanti in campo nazionale ed europeo nel mercato della ricerca economica e sociale. Da quest’anno Nomisma, grazie soprattutto all’impegno di Pantini, ha sviluppato Wine Monitor (www.winemonitor.com), che in breve tempo si sta accreditando come il più importante e aggiornato osservatorio del mercato del vino italiano.

Non potevamo, pertanto, non iniziare con Denis Pantini, il nostro ciclo di interviste e di analisi sull’export vitivinicolo italiano.

lnnanzitutto ti chiedo cosa ha spinto Nomisma ad ideare uno strumento come Wine Monitor?

L’idea di realizzare una piattaforma informativa come Wine Monitor discende da anni di lavoro a contatto con le imprese e le associazioni collegate al mondo del vino. Nelle diverse occasioni di confronto ci siamo spesso resi conto di come mancasse una reale e puntuale conoscenza non solo dei mercati esteri e delle tendenze in atto, ma anche dei numeri di base che contraddistinguono l’ambiente competitivo in cui si muovono i produttori vinicoli. Ovviamente questa considerazione vale soprattutto per le piccole e medie imprese che tuttavia rappresentano la stragrande maggioranza del comparto. Proprio in considerazione di questo scenario e alla luce della necessità di aumentare l’export (visto che i consumi di vino sul mercato italiano sono in calo continuo), abbiamo pensato fosse utile implementare uno strumento che potesse supportare le imprese nella conoscenza sia di quello che sta accadendo in Italia ma soprattutto di quali tendenze siano in atto a livello internazionale.

Dal vostro continuo monitoraggio dei mercati internazionali quali sono quelli che anche in questa fase economica non certo semplice, sembrano dare maggiori segni di crescita?

Guardando ai dati sulle importazioni di vino per i primi sette mesi del 2013 si nota il proseguimento di una tendenza positiva per i vini italiani in tutti i principali mercati internazionali che va così a consolidare una crescita di lungo periodo. In particolare, continua il buon momento del mercato russo (+42% il valore dei vini importati dall’Italia nel 2013 rispetto ad un +14% di crescita media dell’import di vino totale), cinese (+10%), svizzero (+10%) e statunitense (+6%). Unico mercato per il quale si segnala un arretramento il Giappone, anche se il calo (-1,6%) è inferiore a quello registrato a livello di importazioni totali di vino (-5,3%).

Spesso si parla dei cosiddetti “mercati emergenti”, quali sono realmente più pronti per diventare una reale opportunità per le imprese del vino italiane?

Premesso che ogni mercato è una storia a sé, è importante sottolineare come le condizioni di accesso, i gusti locali e gli stili di vita rappresentano le  principali variabili in grado di determinare il successo o meno di un vino. Ci sono mercati dove le barriere tariffarie sono talmente elevate che senza accordi di libero scambio è praticamente impossibile essere competitivi, anche se magari il vino italiano presenta un forte appeal per i consumatori di quel paese. Basti pensare al Brasile, dove grazie all’accordo Mercosur i vini cileni possono entrare nel paese a dazio zero regnando così incontrastati sui nostri Lambruschi, fortemente apprezzati e ricercati dai brasiliani, ma che al momento di varcare la frontiera vengono tassati con un +26% di dazio sul prezzo all’import. La stessa cosa vale per l’India dove addirittura il dazio arriva al 150% e dove si aggiunge la difficoltà di trovare vini che si sposino bene con la cucina locale, altro grande rebus da risolvere per poter essere apprezzati dai consumatori locali. Insomma, a ben guardare, non esiste oggi un mercato emergente più pronto di altri ad essere “conquistato” dai vini italiani, quanto tanti mercati sui quali vale la pena iniziare ad investire e farsi conoscere, nella consapevolezza che molti di questi (come Messico, Corea del Sud, Taiwan, Thailandia), pur con tutte le difficoltà del caso, saranno i mercati del domani.

Se dovessi sintetizzare, quali sono gli attuali punti di forza dell’export italiano e quali gli eventuali punti di debolezza?

Ricollegandomi al punto precedente, uno dei punti di forza dei nostri vini è sicuramente quello di essere “italiani” e cioè di rimandare ad uno stile di vita e di far parte di una cultura alimentare che tutto il mondo ci invidia. E questo rappresenta sicuramente un asset da sfruttare, quanto meno anche solo per entrare in un nuovo mercato. Poi, una volta entrati si tratta di riuscire a collocare il vino che meglio si adatta alle esigenze dei consumatori, e anche in questo caso abbiamo la forza di più di 500 denominazioni che non solo esprimono – ognuna di queste -una storia collegata ad un territorio che non ha eguali nel mondo, ma anche una varietà tale di aromi e profumi da trovare  -in almeno un caso – un perfetto abbinamento con la cucina locale, che poi rappresenta spesso la porta d’accesso per i nuovi mercati.

Purtroppo, a questi punti di forza se ne affiancano altri di debolezza collegati soprattutto alla nostra incapacità di fare sistema (o squadra, a seconda di come la si guarda), cercando spesso il successo personale (e non mi riferisco solo alle imprese ma anche alle istituzioni preposte a supportare le aziende nel percorso di internazionalizzazione) magari a scapito del vicino italiano, facendo così il gioco dei competitor stranieri che al contrario possono contare su dimensioni competitive e un “sistema Paese” che noi ci possiamo solo sognare. Ma anche per questo è nato Wine Monitor, con l’ambizione di poter dare un aiuto alle imprese del vino italiano nell’affrontare con qualche arma in più un mercato globale, divenuto altamente competitivo e soprattutto selettivo.