È stato un intervento a 360 gradi sul mondo del vino, dagli aspetti produttivi ai più imprenditoriali, quello che giovedì scorso ha tenuto Angelo Gaja agli studenti del Fondazione Edmund Mach di San Michele all’Adige.
Gaja ha sottolineato come un’azienda sia costituita da “tre lavori”: il lavoro in vigna, il lavoro in cantina e il lavoro sui mercati, ognuno parimenti importante per far sì che l’azienda possa prosperare a lungo.
A proposito della produzione ha esordito parlando dell’importanza del favorire la biodiversità in vigna e illustrato alcune nuove tecniche agronomiche recentemente adottate dalle sue aziende. Il discorso sul vino naturale, che a tratti ha assunto i contorni di vera e propria polemica, è stato accolto favorevolmente dal volto del vino piemontese per eccellenza: “credo che sia un fatto positivo, perché in questo modo le aziende sono state costrette a guardarsi dentro”.
Affrontando poi il tema dei mercati, e in particolare dei mercati esteri, Angelo Gaja ha marcato la necessità di cavalcare maggiormente l’appeal dell’Italian Style, ricordando ai presenti che il nostro è il prodotto Made in Italy per eccellenza, perché, a differenza di altri comparti in alcuni casi ben più famosi ma che esternalizzano una parte del processo, la produzione di vino avviene interamente in Italia. Inoltre va maggiormente sfruttato il vantaggio di produrre “food wines”, ovvero vini che si prestano naturalmente all’abbinamento con il cibo.
Soprattutto ha invogliato la platea di studenti a riflettere sul fatto che per far crescere la domanda di vino italiano all’estero servono competenze specifiche e capacità organizzative e che in questo senso sono proprio le persone, magari giovani come loro, a svolgere un ruolo sempre più fondamentale (introducendo in qualche modo il tema delle risorse umane a noi molto caro e di cui parleremo più propriamente durante la sessione di Wine Meridian a wine2wine)
Gaja ha anche espresso preoccupazione per un mercato interno che negli ultimi anni sta vedendo un significativo calo dei consumi, a favore di soft drinks e super alcolici, dovuto a suo avviso a due tipi di problemi: uno legato alla disinformazione sia verso i rischi legati all’assunzione di alcol, sia verso le pratiche e i trattamenti in vigna; un altro legato alla mancata comunicazione degli aspetti valoriali della nostra bevanda preferita. In tal senso è stata fatta notare la necessità di riconoscere anche a livello istituzionale il ruolo culturale del vino, e che per far questo bisogna favorire la produzione artigianale, la quale meglio si presta a svolgere una vera e propria funzione educativa, “facendo riscoprire la terra e, di conseguenza, facendo riscoprire il vino stesso”. Questo può avvenire solo comprendendo appieno l’importanza cruciale per il nostro settore dell’enoturismo e dell’accoglienza, sia in ottica nazionale che internazionale.
Gaja conclude con un elogio del piccolo, “che non vuol dire piccolo è bello, che non significa nulla, ma piccolo è utile”. Utile per quella qualità che deve essere la caratteristica più riconoscibile del vino italiano nel mondo. Utile soprattutto perché piccolo è sinonimo di quella dimensione artigianale, sopracitata, che è l’ambiente ideale in cui poter sperimentare, iniziare a ragionare fuori dagli schemi o, come lui stesso l’ha definito, “pensare diverso”.