Uno dei Paesi con una importante tradizione vitivinicola, in cui le questioni sociali sono particolarmente sentite, è il Sudafrica.

Questi aspetti sono particolarmente sentiti a causa della storia politica del Paese africano, delle difficoltà economiche e dei livelli di disoccupazione che raggiungono quasi il 33%, tra i più alti al mondo.

Nel marzo 2023 i salari minimi mensili dei lavoratori sudafricani sono aumentati da R18.673 (1.015 dollari) a R20.092 (1.090 dollari), ma questi stipendi, le scarse condizioni di vita e gli standard di salute e sicurezza, così come il modo in cui vengono trattati i lavoratori migranti e i sindacati, hanno attirato le critiche delle organizzazioni internazionali per i diritti civili e dei giornalisti investigativi.

Industria vinicola e ONG

Una delle organizzazioni che di recente si è concentrata sull’industria vinicola sudafricana è Finnwatch, una ONG che, fin dalla sua fondazione in Finlandia nel 2002, ha cercato di influenzare la politica finlandese e dell’UE in materia di responsabilità d’impresa. Pubblica rapporti in tutta la Scandinavia e il suo lavoro è seguito da vicino da governi e aziende. Tra i criteri che utilizza Finnwatch ci sono i “Principi guida delle Nazioni Unite” su imprese e diritti umani, che affermano, ad esempio, che i salari – a prescindere dai minimi imposti dalla legge – devono essere sufficienti per una vita dignitosa.

Come riporta Meininger’s International, gli sforzi di Finnwatch possono avere un impatto significativo. In seguito al suo intervento, un fornitore dell’azienda di abbigliamento Patagonia ha migliorato il compenso dei suoi lavoratori.

Nel marzo 2023, dopo aver sollevato dubbi sulla decisione del monopolio degli alcolici finlandese Alko di inserire nel listino vini provenienti dalle contese alture del Golan in Israele, Finnwatch ha pubblicato il suo primo report sulla produzione vinicola sudafricana, comprensivo di studi e analisi sul campo.

In questo report, l’ONG ha inserito alcune aziende vinicole che forniscono 11 vini ad Alko, tra cui i best seller sudafricani Pearly Bay, Grinder Pinotag, Green Nature e il Kuronen Red. Tra le questioni sollevate vi sono i salari e le condizioni di lavoro e di alloggio.

Un dipendente ha dichiarato: “Trattano i dipendenti in modo diseguale, alcuni sono favoriti a scapito di altri. Quando vengono irrorati i prodotti chimici, qualcuno riceve l’equipaggiamento protettivo, altri no. È sbagliato, siamo tutti umani”. È stato inoltre rilevato l’uso dell’erbicida Paraquat, vietato nell’UE dal 2007.

Tuttavia, nonostante sia stato associato al morbo di Parkinson e al cancro, il Paraquat non è legale solo in Sudafrica, ma anche negli Stati Uniti e in Canada. Le aziende vinicole citate nel rapporto hanno sottolineato che pagano il salario minimo legale e forniscono alloggi conformi ai requisiti obbligatori.

Maggiore regolamentazione nell’UE

La recente legge tedesca sulla supply chain impone alle imprese con una forza lavoro tedesca superiore a 3.000 dipendenti di verificare se i loro fornitori rispettano gli standard in materia di diritti umani.  L’anno prossimo la soglia scenderà a 1.000 e le aziende che non riusciranno a garantire la conformità della loro catena di fornitura rischieranno multe fino a 8 milioni di euro (8,6 milioni di dollari) o il 2% del loro fatturato globale.

La Francia e i Paesi Bassi hanno una legislazione simile, mentre l’UE nel suo complesso ha varato la Corporate Sustainability Due Diligence Directive” (CS3D) che stabilisce che le società europee ed extra-UE, che partecipano alle supply chains globali, adottino procedure volte alla promozione di condotte aziendali sostenibili ed attente alla tutela dell’ambiente e dei diritti umani. Questa direttiva dovrebbe entrare in vigore nel 2026.

Queste iniziative, insieme agli sforzi di lobbying di organizzazioni come Finnwatch, avranno sicuramente un impatto sulla distribuzione vinicola europea in generale e sui monopoli nordici in particolare – e sui loro fornitori.

Cause ed effetti

Se, ad esempio, le aziende vinicole sudafricane non ottemperassero alle richieste, sarebbero cancellate dai listini dei monopoli scandinavi? E se così fosse, cosa accadrà ai loro dipendenti? La ricercatrice di Finnwatch, Anu Kultalahti, afferma che “Il ritiro dalla cooperazione commerciale può avvenire solo nei casi in cui il partner commerciale non riesce a correggere i problemi o non mostra la volontà di farlo. Tuttavia, anche in questi casi le modalità devono essere responsabili, in modo tale che i lavoratori delle cantine subiscano conseguenze minime”. Questo è più facile a dirsi che a farsi.

I produttori che si adegueranno potrebbero essere costretti ad aumentare i prezzi. Questo porterà a una riduzione delle vendite? E cosa succederà se i datori di lavoro che si adegueranno, ridurranno la loro forza lavoro, sulla base del fatto che impiegano meno persone ma le trattano meglio? Anche questo potrebbe avere conseguenze sui livelli di disoccupazione.

Per quanto giuste e nobili siano le motivazioni, lavorare nell’ottica della sostenibilità sociale per alcuni può essere sostenibile ma per altri potrebbe produrre problematiche difficilmente risolvibili.