La cultura del sake è arrivata in Occidente solo negli ultimi anni e molti dubbi e false credenze circondano ancora questo prodotto. Esattamente come il vino, il sake è una bevanda fermentata, prodotto con riso, acqua, koji (un fungo in grado di trasformare gli amidi in zuccheri semplici) e lieviti.

Ha una gradazione media intorno al 15-16% che lo rende adatto ad accompagnare sia la cucina orientale che quella occidentale grazie alla sua spiccata duttilità. In base alla tipologia può essere servito caldo, freddo o a temperatura ambiente per valorizzare al meglio il piatto con cui viene abbinato.

“Solo” 4 semplici ingredienti

Riso, acqua, koji e lieviti sono la base di partenza ma ciascuno di questi ingredienti è responsabile di un aspetto del prodotto finale. 

Il riso usato per il sake è di tipologia sakamai: cresce solo in alcune aree specifiche e richiede tecniche di coltivazione particolari: presenta chicchi più grandi e morbidi che permettono un maggiore assorbimento di acqua, fattore molto importante per il sake. L’acqua, infatti, rappresenta l’80% del sake e la quantità e qualità dei minerali disciolti influisce sul gusto finale.

Come ben sappiamo, a differenza dell’uva, il riso non contiene zuccheri semplici che i lieviti sono in grado di fermentare. Ed è qui che entra in gioco il koji (Aspergillus oryzae): si tratta di un fungo che secerne un enzima in grado di scindere l’amido in zuccheri semplici, zuccheri che poi saranno trasformati dai lieviti in alcol, attuando una fermentazione alcolica in piena regola.

Il lievito usato è equivalente a quello del pane: il Saccharomyces cerevisiae viene scelto per la sua spiccata capacità di fermentare a basse temperature fino a concentrazioni alcoliche superiori al 20%.

Come ben sappiamo non è possibile aggiungere alcol al vino. Per il sake invece si tratta di una scelta facoltativa che dà vita a due grandi gruppi di sake. L’aggiunta di alcol avviene appena prima della pressatura, non tanto per alzare il grado alcolico, bensì per estrarre ulteriormente aromi e composti dal riso garantendo un gusto più ricco al prodotto finito. Se invece il toji (杜氏) – la persona più importante nella sakagura, l’equivalente dell’enologo – sceglie di non aggiungere alcol, si otterranno sake di tipo Junmai.

Sake: un’antica tradizione proiettata al futuro

La tradizione del sake ha radici estremamente profonde. Anche se le origini non sono certe, ci sono varie teorie. Alcune teorie fanno risalire le origini del distillato di riso al III secolo a.C., nel Libro Wei delle “Cronache dei tre regni” si narra di una versione ancestrale del sake.

A quell’epoca, la produzione di sake era riservata solo alla corte imperiale e il consumo per riti religiosi e cerimonie. Lentamente la produzione si sposta a templi e monasteri. Con l’apprendimento di nuove e migliorate tecniche si iniziarono a produrre volumi sempre maggiori arrivando a una vera e propria produzione di massa.

Così come la sua lavorazione, anche il prodotto ha subito cambiamenti nel tempo. Oggi si trovano sake non filtrati (sake nigori) che richiamano le origini, o liquori a base di sake aromatizzati alla frutta, sake frizzanti, ottenuti con una rifermentazione in bottiglia, che si ispirano ai grandi spumanti occidentali e persino invecchiati in botti tradizionali, chiamate taru, in acciaio o anche in bottiglia.