A tutti i produttori e manager che sto incontrando in questo faticoso ma straordinario USA Wine Tour, ho rivolto la medesima domanda: “Qual è la principale preoccupazione che avete per il futuro del business?”. Quasi tutti mi hanno dato la medesima risposta: “Il calo di interesse nei confronti del vino da parte delle giovani generazioni”.
“Senza i boomer – hanno sottolineato numerosi attori della filiera del vino americana – faremo molta fatica a rendere sostenibile l’economia delle nostre imprese”.
Un problema molto sentito qui negli USA, sicuramente di più che nella nostra vecchia Europa; forse perché ormai ci siamo assuefatti alla tendenza all’invecchiamento in tutti i sensi e in tutti i comparti economici.
Eppure, hanno ragione i produttori americani a preoccuparsi perché senza l’interesse dei giovani nei confronti del vino saranno dolori per tutti, e i primi segnali li stiamo già vedendo con un lieve calo dei consumi anche in un mercato in costante espansione (in termini di valore) come gli USA che, con i suoi 34 hl, rimane saldo al primo posto tra i Paesi consumatori di vino.
Fino a pochi anni fa, ci eravamo un po’ illusi che la crescita del settore sarebbe sempre stata costante e inarrestabile, visto che, fra le bevande alcoliche, il consumo di vino aveva una quota di mercato di poco superiore al 12% a livello mondiale.
I dati attuali non ci danno invece più queste certezze e il segnale di allarme viene proprio dalla cosiddetta Gen Z (i nati tra il 1996 e il 2010) che vede nel vino non certo la principale opzione tra le bevande alcoliche. E se questa tendenza rimanesse costante anche quando questi oggi ventenni o poco più saranno più maturi, allora la cosa si farebbe veramente molto grave.
Certo, abbiamo sempre la “speranza asiatica”, che potenzialmente rappresenta un bacino di nuovi consumatori straordinario, ma appunto parliamo di speranza e il declino del mercato cinese di quest’ultimo quinquennio non è molto incoraggiante.
Per questa ragione, ritengo fondamentale far diventare una priorità la problematica del calo di interesse dei giovani nei confronti del vino. Occorre smettere di considerare questa tendenza un qualcosa di inevitabile sul quale non si può intervenire in alcun modo.
Se consideriamo, poi, la costante aggressione delle istituzioni (a partire dall’OMS, Organizzazione Mondiale della Sanità) nei confronti dei consumi di bevande alcoliche, c’è da stare veramente poco allegri.
Anche se, lo dico molto onestamente, ho la sensazione che queste aggressioni, questo “neo proibizionismo” stia generando l’opposto dei suoi obiettivi. Mi è bastato vedere “stormi” di giovani nei tanti locali di Las Vegas “buttare giù” un mare di cocktail a base vodka per comprendere come veramente la via maestra contro gli abusi sia solo l’educazione al consumo. E la cultura legata al consumo di vino va proprio in questa direzione, non mi interessa apparire di parte.
Ma sono sempre più convinto che per essere forti serva un’alleanza tra i sistemi produttivi a livello mondiale e temo serva qualcosa in più rispetto, ad esempio, al nobile progetto comunitario di “Wine in moderation”.
È necessario studiare modelli di comunicazione, di eventi, di formazione molto più in sintonia con i linguaggi, gli stili di vita dei giovani di oggi.
Ma una risposta l’avremmo già a disposizione e gli USA in questa direzione sono un ottimo esempio: lo sviluppo dell’enoturismo. Dal nostro osservatorio dell’USA Wine Tour, possiamo confermare di aver visto moltissimi giovani nelle aziende che stiamo visitando.
“Il turismo del vino è una leva preziosa per attrarre i giovani al vino, per farglielo conoscere nel modo migliore – mi ha spiegato Greg, piccolo produttore dell’Idaho – perché questa Gen Z è fortemente sensibile alle tematiche ambientali e ama la vita all’aperto, in ambienti meno contaminati”. Ci siamo imbattuti in molte cantine statunitensi che hanno avviato un ricco programma per attrarre giovani nelle loro realtà, a partire da concerti e varie tipologie di party.
Soprattutto se inserita in contesti ambientali “sani”, la cantina può rappresentare un fattore determinante per trovare un nuovo modello di alleanza tra il vino e i giovani consumatori.
E questo rappresenta un’ulteriore “responsabilità” nelle mani dell’enoturismo, ma anche l’ennesima dimostrazione di quanto sia importante svilupparlo al meglio.
Negli USA ci stanno riuscendo alla grande, noi abbiamo ampi margini di miglioramento, ma questa è una buona notizia.