Nei giorni scorsi sono andato a riascoltarmi l’intervento di Rick Tigner (CEO di una della aziende del vino più importanti al mondo, la Jackson Family Wines – oltre 20.000 ettari di vigneto, tra la California e l’Oregon, con circa 72 milioni di bottiglie prodotte per un fatturato superiore al 1,1 miliardi di dollari) nell’ambito della 23a edizione della Wine Industry Conference, tenutasi a Santa Rosa lo scorso 20 aprile.

In perfetto stile americano, Tigner non si è nascosto dietro un dito e, con sano pragmatismo, ha subito espresso le sue preoccupazioni, che si possono sintetizzare in questa dinamica: il numero in continua espansione di aziende vitivinicole negli USA – che, nel 2022, hanno raggiunto il ragguardevole numero di 11.691 (con un aumento del 3% annuo) e un corrispettivo di circa 150.000 etichette – che si contende un numero sempre più ridotto di grossisti/distributori (oggi 1.084, un terzo rispetto al 1995).

Un numero elevatissimo di brand – ha sottolineato Tigner – a cui si contrappone, però, una capacità sempre più ridotta dei consumatori di ricordarli. Secondo una recente indagine, infatti, la riconoscibilità dei marchi da parte dei consumatori è molto limitata: 13 marchi per la fascia di età 21-34 (Gen Z più anziana e millennial più giovani), 16 per la fascia di età 34-55 (millennial più anziani e Gen X più giovane) e 21 per quelli più anziani di 55 (Gen X precedente, boomer e “Generazione silenziosa”).

Come non condividere le preoccupazioni di Tigner che, in qualche misura, dovrebbero essere superiori rispetto alle nostre, considerando che abbiamo un numero di aziende vitivinicole quasi tre volte più grande e una conseguente proliferazione impressionante di diverse etichette.

Pertanto, a fronte di un’offerta così vasta, come può un brand del vino rendersi riconoscibile?

La ricetta di Tigner è molto chiara e forte: sapersi distinguere soprattutto dimostrando di essere fortemente impegnati sul fronte della responsabilità sociale. E la responsabilità sociale di un’azienda vitivinicola tocca tantissimi fronti, a partire da quello, piaccia o no, della salute.

“In qualità di dirigente di un’azienda vinicola – ha affermato Tigner – non posso sempre parlare dei benefici della salute nel vino”. Un’affermazione coraggiosa e vera quella di Tigner che conferma, a mio parere, che non possiamo pensare di “difendere” il consumo del vino sul tema “vino e salute”.

Dobbiamo combattere certe crociate salutistiche basate su messaggi demagogici, della serie: “Se bevete un goccio di vino vivrete molti anni in meno”; ma, al tempo stesso, evitiamo di far passare l’idea del vino come “medicina”.

Ma, per Tigner, responsabilità sociale significa anche far “stare bene” i propri dipendenti e collaboratori all’interno delle aziende del vino. Ed è giusto quindi chiedersi quanto le nostre aziende siano un ambiente sano, costruttivo, inclusivo per i nostri collaboratori.

È chiaro che tutto il tema della sostenibilità, nelle sue diverse sfaccettature, rappresenta un elemento chiave sul fronte della responsabilità sociale di un’azienda. Ma, anche su questo, Tigner è molto pragmatico: “Anche le piccole cose… fanno. Ma non aspettate che qualcun’altro faccia da guida… Grandi aziende, piccole aziende; potete tutti fare scelte che portano a migliorare il nostro ambiente, il nostro benessere”.

Sul fronte della sostenibilità, vi consiglio di vedere anche il video che la Jackson Family Wines ha realizzato per spiegare in maniera molto concreta l’impegno dell’azienda su questo fronte. Poche parole, ma tanti fatti per far comprendere che la sostenibilità va soprattutto dimostrata…

Insomma, ritengo che le preoccupazioni che ha espresso Tigner siano, oggi, oggettivamente quelle sulle quali tutta la nostra filiera dovrebbe riflettere.

Come pure il tema della responsabilità sociale rappresenta, senza ombra di dubbio, un fattore non solo importante (se non fondamentale) per essere aziende credibili e autorevoli, ma anche uno straordinario contenuto per rendersi riconoscibili in un mare sempre più vasto di brand.